A: Benvenuto nel nostro ufficio, Gabriele! Il primo tema di cui vorrei parlare con te è quello del tempo degli oggetti, cosa ne pensi?
Gabriele: Oggi l’aspetto più tragico del tempo degli oggetti, trovo sia quello della «obsolescenza programmata». L’oggetto può scadere come il latte nel frigo, perché tu poi devi ricomprarne uno nuovo. La cosa a mio parere taglia ogni legame affettivo. In realtà, quando decido di acquistare qualcosa, mi auguro che questa mi accompagni nel tempo. Viviamo in un mondo che ha perso un vero legame con la tradizione, che presuppone un riconoscimento delle cose belle e degne, che durano nel tempo. Ogni oggetto ormai sembra inciso dall’artiglio della morte. Le nostre case sono piene di cose obsolete, che non sono state concepite per durare. Hanno perso ogni umanità.
A: La scelta degli oggetti quindi è una ricerca personale? Possiamo lasciarla completamente in mano ai brand?
Gabriele: La scelta dell’oggetto in qualche modo esige un'analisi qualitativa e quantitativa. L’oggetto scelto talvolta deve comunicare il brivido della rarità. Per me l’oggetto bello, scelto, è ipso facto di lusso, perché si sottrae alla serialità. Non dimentichiamoci che noi per primi siamo unici. Il brand agisce su quella tentazione di rendersi desiderabili come gli altri, ed io non voglio essere desiderabile come gli altri. La moda ha un senso se diventa "il mio modo", e questa attitudine riguarda tutte le cose. Dal cappuccino alla carta da regalo, non c’è nulla che si possa sottrarre a questa dimensione estetica.


Gabriele Verratti è un ambassador che da anni si confronta con la moda ed il design. È stato un pioniere dell'informazione digitale in Italia, lavorando come Fashion Editor agli albori di Grazia.it. Ha collaborato con ICON, del gruppo Mondadori, e ha una passione viscerale per alcuni dei prodotti più specifici dell'artigianato italiano.
A: Questo approccio è quindi identico per il design, il cibo, la moda, per qualunque aspetto del nostro vivere?
Gabriele: Si, perché è sempre lo stesso il movente. Cerco qualcosa che sia all’altezza del mio essere uomo. Essere unico, non replicabile. Non dimentichiamoci che l’uomo non può farsi schiavo delle cose. Tu quando acquisti l’oggetto pubblicizzato dal brand, non stai comprando l’oggetto, ma una sorta di schema, una categoria di vita, di appartenenza. Il rischio più grande è perdersi; questo voyeurismo malato e depredatorio, che dilaga nei social network, è il sintomo di una disperata ricerca di identità. Ha solo ragione l’artigianato, e ha solo ragione il pezzo unico.
A: Abbiamo parlato di qual è l’ambiente mentale per cui sono portato a scegliere degli oggetti piuttosto che degli altri. Ora vorrei capire secondo te, come comunico o diffondo questo modo di pensare? Questo percorso di ricerca di identità attraverso cosa passa?
Gabriele: Mi verrebbe da pensare che è fondamentale il silenzio, spegnere le sirene, la pubblicità. Io non sono un esperto di design, però evidentemente quanto più l’industria si carica di umanesimo, cioè riesce a preservare le personalità singole, tanto più può funzionare. Quello che ti fa giovane, che ti rende nuovo, è la custodia dell'identità. La libertà intellettuale è una premessa fondamentale per il godimento delle cose belle.
A: E come facciamo a questo punto ad essere liberi?
Gabriele: L’operazione più interessante ed anche più faticosa è scegliere l’oggetto, la scelta è già una proclamazione di personalità: quello che più ci costa è capire chi siamo. La scelta ci obbliga a fare un lavoro di introspezione, di conoscenza di noi stessi.
Se non c’è identità, l'uomo diventa schiavo dell’oggetto, che finisce per sostituirsi a se stesso. È il rischio del consumismo, ed essere imbrigliati nelle categorie del “desiderabile per tutti”. Ma quell’oggetto mi rappresenta? È sempre un discorso di identità. Io credo che l’oggetto bello sia goduto solo da chi ha fatto questo lavoro a monte, di conoscerci sempre più a fondo. Non si da estetica senza personalità, che non è egocentrismo. Personalità è farsi delle domande e cercare delle risposte!

"Sai, si pensa che i massimi sistemi non dicano nulla della tua vita, che siano chiacchiere e vanità, invece i massimi sistemi descrivono il livello minimo. Dietro ogni realtà c’è sempre qualcosa che va oltre."
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A: Vorrei capire se c’è qualche oggetto che per te ha un valore particolare, che leghi a un'esperienza particolare?
Gabriele: Certamente il mio regalo di laurea, una edizione completa delle opere di Virgilio. Questo libro è unico, segnato dal tempo e mi dice di familiarità e personaggi che non conosco: c’è una dedica, scritta in una lingua incomprensibile. Che faccio? Lo tengo così cadente, con la copertina ammuffita che si sta sbriciolando o lo faccio rilegare nuovamente? L'ho tenuto così. È quasi una cartina tornasole del clima, assorbe moltissimo l’umidità; lo prendo tra le mani e sembra di toccare la pelle di una persona. Il bello di questi oggetti è che ovviamente si salvano dalla ripetizione, che è qualcosa che sa un po’ di morte. La vita, le cose le persone sono nuove ogni giorno. La vita non si ripete mai, tutto quello che è ripetibile, riproducibile in maniera ossessiva diventa triste. L’oggetto se è irripetibile è bello, perché è come la vita.
A: Gabriele, mi capita raramente di sentire tutta questa astrazione parlando degli oggetti. Come mai?
Gabriele: Sai, si pensa che i massimi sistemi non dicano nulla della tua vita, che siano chiacchiere e vanità, quando invece i massimi sistemi descrivono perfettamente il livello minimo. Dietro ogni realtà c’è sempre qualcosa che va oltre. Gli uomini non possono fermarsi alla materia, vanno oltre. Non esiste solo questo tavolo, questo vaso, questa sedia, esiste anche quello che ne farò, esiste perché li ho comprati, esiste il loro destino. Noi nasciamo nel mondo e siamo una novità assoluta, che non potrà essere sostituita da nient’altro e da nessuno.
A: Chiudiamo con una piccolo provocazione: ho acquistato una stanza immaginaria, grande e a pianta quadrata, nella quale ogni giorno voglio circondarmi di un oggetto, solo uno. Prendi possesso di questo spazio e mettici dentro una cosa.
Gabriele: Andrea, questa è una perversione da Virginia Woolf. Io ci metterei, uno di quegli scrittoi di altissima ebanisteria, che hanno cassetti insondabili, con meccanismi. Quegli scrittoi concepiti come le quinte teatrali: ti si apre un cassetto, si sposta il tavolinetto. Ci vedrei una bella carta da lettere color avorio, artigianale, una penna stilografica e se vogliamo dimostrare tutta la nostra insana malattia per il nostalgico, anche un sigillo con la ceralacca. Uno scrittoio per scrivere tante lettere a destinatari veri o immaginari, basta che si scrivano lettere.
A: Favoloso! Allora io ricomincio a scrivere.


"Questo oggetto è qualcosa di poetico, lo si vede da queste tessere inerti. Quante volte i nostri giorni penzolano dal calendario allo stesso modo. Ma basta un gesto contro forze respingenti, un ascolto attento degli eventi, la scoperta di un significato perchè il tempo si faccia occasione."